Il filo rosso, l'equità retributiva

Nel costante dibattito sulla misura del compenso del libero professionista, l’equo compenso è lo strumento pensato nel 2012 a controbilanciamento della pratica ribassista dei prezzi, così da tutelare la dignità lavorativa dei professionisti più deboli.

Le origini: le tabelle per i giornalisti.

L’equo compenso trova origine nella L. n.233/2012 la cui finalità è l’equità retributiva di quanti iscritti all’albo dei giornalisti, titolari di un rapporto di lavoro non subordinato in quotidiani e periodici, anche telematici, nelle agenzie di stampa e nelle emittenti radiotelevisive.

L’obiettivo da raggiungere è la corresponsione di una remunerazione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, tenuto conto della natura, del contenuto e delle caratteristiche della prestazione in coerenza con i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria a favore dei giornalisti titolari di un rapporto di lavoro subordinato.

Il filo rosso è l’equità retributiva

Quanto previsto dalla legge n.233/2012 trova sostanza il 19 giugno 2014, data in cui è stata raggiunta dalla Commissione per l’equo compenso l’approvazione del provvedimento di definizione del tabellario dei compensi minimi. Provvedimento che ha trovato la contrarietà del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, che lo impugnava avanti alla Giustizia Amministrativa con domanda di annullamento affidata a due motivi. Col primo motivo veniva contestata la misura eccessivamente ridotta dei compensi minimi stabiliti; col secondo motivo, era posto l’accento sull’esclusione dei lavoratori a progetto dal novero dei beneficiari. L’impugnazione ha trovato epilogo con l’accoglimento da parte del TAR di Roma con la sentenza n.5054/2015, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n.1076/2016. Il problema tuttavia era solo rinviato.

L’equo compenso per gli avvocati: il riequilibrio negoziale.

Ciò che è avvenuto nel campo giornalistico nel 2012 è stato uno dei primi passi volti a riequilibrare il mercato del lavoro, ormai mutato in vaste porzioni di precarietà diversamente frastagliata. Altra risposta è stata data dalla giurisprudenza, sempre più propensa a riconoscere l’abuso di posizione economica, con le forme derivate di abuso di posizione dominante, per condotte anticoncorrenziali, e di abuso di dipendenza economica, per la tutela del contraente debole.

Un altro traguardo viene poi raggiunto con la L. n.247/2012 (Legge Professionale Forense) ove viene previsto all’art. 13 bis l’equo compenso per gli avvocati che, iscritti all’albo, prestano la propria attività in favore dei cc.dd. “grandi committenti”.

Più dettagliato del precedente giornalistico, l’equo compenso forense agisce da argine al di sotto del quale il cliente forte non può imporre all’avvocato un prezzo pauco per lo svolgimento dell’attività di consulenza o di rappresentanza in giudizio. Ricadono, così, nel vizio di nullità tutte quelle clausole capestro con cui il cliente big pretende un’estesa attività a fronte di un compenso ridotto, se non addirittura gratuito, oppure (udite, udite) si arroga di percepire la differenza tra le spese legali concordate con l’avvocato e quelle superiori liquidate in giudizio.

La semina precede sempre il raccolto

Successivamente modificato dalla L. n.205/2017 (Legge di Bilancio 2018), l’equo compenso è stato esteso dal D.L. n.148/2017 con la disciplina che segue.

L’equo compenso (2.0?): un nuovo faro per tutti i professionisti.

Requisiti soggettivi: il professionista.

Con l’art 19 quaterdecies c.2 D.L. n.148/2017 (convertito con L. n.172/2017) l’equo compenso viene applicato a tutti i professionisti iscritti agli ordini e collegi per le prestazioni aventi carattere di lavoro autonomo, cioè quelle disciplinate dal contratto d’opera di cui agli art. 2222 e ss. c.c.

Assai interessante è che lo svolgimento dell’attività in favore del cliente può assumere la forma associata o societaria, purché resti prevalente la connotazione personale della prestazione d’opera rispetto alla struttura organizzativa utilizzata. Infatti, sono esclusi dalla disciplina i piccoli imprenditori, individuati ai sensi dell’art. 2083 c.c. e tra i quali troviamo “…coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia“.

Requisiti soggettivi: il cliente.

Sul lato dei clienti, quelli forti vengono distinti in: – imprese bancarie; imprese assicurative; – grandi imprese (occupati >250; fatturato > € 50 milioni oppure bilancio > € 43 milioni), ovvero “quelle non rientranti nelle categorie delle piccole e medie imprese“.

Forti, non invincibili.

Requisiti oggettivi: la convenzione.

Quanto ai contratti, la nuova disciplina dell’equo compenso colpisce tutti i rapporti regolati da convenzioni unilateralmente predisposte dal cliente. Riguarda, cioè, tutti i casi in cui il contratto venga sostanzialmente imposto al professionista, a pena di non conclusione dell’accordo. Il tutto con presunzione legale a sfavore del cliente, che in caso di contestazione deve provare la contrarietà dei fatti, cioè la negoziazione libera.

Visti i requisiti e le condizioni, passiamo infine al cuore della tutela cioè la nullità delle clausole vessatorie e il compenso.

Sono ritenute nulle perché vessatorie le clausole che alterano l’equilibrio contrattuale, come quelle che riconoscono al cliente il diritto di modificare unilateralmente il contratto, oppure di pretendere prestazioni aggiuntive a titolo gratuito. Tra le molteplici, nulla è pure quella clausola che consente al grande committente di applicare alle prestazioni pregresse i compensi previsti nell’eventuale nuova convenzione peggiorativa per il professionista.

Il contratto resta governato dall’equilibrio.

Attenzione: qualora si debba ricorrere alla tutela giudiziaria, la determinazione dell’equo compenso viene subordinata all’adozione dei parametri definiti dai decreti ministeriali (art. 9 D.L. n.1/2012, conv. L. n.27/2012) tra i quali troviamo:

Avvocati, D. Min. Giust. n.55/2014;

Medici veterinari, farmacisti, psicologi, infermieri, ostetriche e tecnici sanitari di radiologia medica, D. Min. San. n.165/2016;

Commercialisti, D. Min. Giust. n. 140/2012;

Consulenti del lavoro, D.Min. Lav. n.46/13;

Agrotecnico, architetto, pianificatore, paesaggista e conservatore, geometra e geometra laureato, geologo, ingegnere, biologo, chimico, dottore agronomo e dottore forestale, geologo, perito agrario, perito industriale e tecnologo alimentare, D. Min. Giust. 17/06/2016 (e relativo allegato), D.M. n.140/2012.

Dulcis in fundo: in carenza del “decreto parametri”.

Se manca il decreto ministeriale, ci si pone il problema della fonte da cui attingere la misura di equità del compenso, così scongiurando ogni horror vacui. Soccorre, in parte, il citato art.19 quaterdecies c.11 che dispone, per quanto non previsto, che alle convenzioni unilaterali si applicano le disposizioni del codice civile (disciplina generale).

Senza decreto? Di qua i criteri.

La risposta va ricercata nel principio dell’equilibrio delle prestazioni – in particolare, considerando il sinallagma del contratto do ut facias – per cui nel caso in cui un professionista appartenga ad un ordine che abbia redatto una tabella di riferimento per i compensi, questi dovrà produrla in giudizio affinché venga fornito un concreto parametro, utile in sede di decisione.

Tra i grandi assenti rientrano i decreti per i settori medico ed odontoiatrico, situazione per cui la F.N.O.M.C.e.O. con nota del 05.06.2012 prot. n.4575/2012 ha sopperito deferendo l’adozione della tabella dei compensi degli odontoiatri agli ordini territorialmente competenti. Tra questi ultimi, ad esempio, quello approvato dall’O.M.C.e.O. della Provincia di Roma in data 06.09.2017, con i parametri variabili indicati.

Restano, infine, i giornalisti liberi professionisti per i quali, vista la lex specialis (L. n.233/2012), il compenso trova misura nel trattamento economico dei colleghi dipendenti, come disciplinato nel C.C.N.L. di categoria.

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Avvocato Giovanni Paolo Sperti

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